Rallye du Maroc Historique 2017

Un nuovo avvincente reportage di gara realizzato da Luisa Zumelli al ritorno dalla gara africana. Da leggere tutto d’un fiato!
Quando Simona Mantovani e Monica Cicognini mi hanno detto che si, sarebbero venute in Marocco rispettivamente con me e con Maurizio Elia, ho tirato un sospiro di sollievo. A me e Maurizio è bastato uno sguardo dopo la prima prova per dirci che eravamo a posto. Avevo spiegato che il Marocco, “alla cieca” e con le note stra-stagionate di Loubet, doveva essere preso un po’ come un gioco, ma sapevo quanto fosse difficile e che le difficoltà aumentavano con la stanchezza. “Le ragazze”, tra curve nuove e curve desaparecidas, hanno messo a frutto la loro esperienza con freddezza e determinazione e hanno portato a termine la gara senza errori. Le ho ben sentite, alla fine del secondo giorno, confortarsi tra loro e dire: “però non è facile, non è facile…”. Confermo: è difficilissimo.
Ridevano sempre. Anche con i piccoli malanni. La Monica col raffreddore russava, l’altra con i tappi nelle orecchie la sentiva lo stesso, allora l’una con dose doppia di aspirina e l’altra con pastiglia per dormire oltre ai tappi. La Simona predisposta a saltare la cena, l’altra che si mangiava anche la sua parte, ma entrambe alle prese con gli orologi dei cronometristi sballati, con note beffarde (marcio, dahia, oued, kern, woops, ecc.), con start ps spostate anche di 300 metri, con dossi destri che escono dritti ma devi stare a destra ma occhio all’interno, possibilmente in quinta piena. Tutte le sere giocavano a fare le compagne di banco e si leggevano le note del giorno dopo, giusto per non arrivare impreparate là dove: se c’è il ponte stai di qui e se non c’è stai di là.
Quelle che non si sono messe d’accordo sono state invece le macchine: in liaison d’amore con la terra Marocchina la mia, sempre tipo guerra dei Roses quella di Maurizio.
E poi c’è stata la tragedia. Gerad Brianti e Freddy Delorme sono finiti in un fiume, e Brianti non ce l’ha fatta a uscire dalla macchina. E’ stato Delorme a darci la voglia di provare a continuare: è venuto al Parco e ha stretto la mano a tutti, dicendo che quello sarebbe stato anche il desiderio di Brianti. Tutti piangevano.
Quando hai bisogno di una mano, i Marocchini sono generosi . E’ così che capiti in un’officina dove c’è proprio il paranco che cercavi, e ti offrono il tè, e dal gommista con i crick, e ti offrono il tè. Ma non c’è nient’altro. Quello col paranco ha come aiuto ferri il “bar”, e se deve spianare una testa, si fa prestare il coltello, e il gommista ha quello di fronte, che gli presta l’ape se deve andare a fare montare una gomma. E ogni prestito ha una trattativa sulla percentuale di guadagno, secca e veloce. Quando paghiamo si forma un capannello e tutti reclamano la loro parte, anche quello che, sapendo un po’ di francese, ha fatto da interprete.
Ogni sera, quando si “archiviavano” radar e note di una tappa, e si faceva il briefing sull’assistenza del giorno dopo, per me c’era sempre un attimo di religioso silenzio di ringraziamento, come a non crederci che fino lì ci eravamo arrivati, e sentivo che insieme alla borsa delle note si alleggeriva anche la responsabilità di tutto quello che ho preparato per la gara. Solo la stanchezza dei volti di Sandro e Roberto che avevano provato di tutto per fare andare bene la macchina di Elia toglieva gioia.
Siamo arriviate all’ultima tappa con cinque minuti di vantaggio su quello dietro di noi, e io ho fatto quegli accidenti di dossi rallentatori marocchini piano, ma piano davvero.
Festa grande all’assistenza dopo l’ultima prova speciale, spruzzate di acqua minerale: certo, just Marocco!

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